Centro Studi e Ricerche SLR

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venerdì 4 dicembre 2015

Il concessionario risponde per i difetti dell'auto venduta

Tribunale di Palermo, sentenza 17 novembre 2015, n. 6589


Con sentenza del 17 novembre 2015, il Tribunale di Palermo ha condannato una concessionaria automobilistica alla sostituzione di un autoveicolo acquistato da un consumatore, in ragione della circostanza che il bene presentava vizi tali da renderlo non conforme al contratto di vendita.

Il Tribunale palermitano si è pronunciato sulla questione relativa ai rimedi che spettano al consumatore nel caso di acquisto di un bene che presenti gravi vizi tali da renderlo non conforme al contratto di vendita.
Nel caso di specie, l’attore lamentava che, fin dal momento appena successivo alla consegna, la vettura acquistata aveva riportato diversi problemi di funzionamento, che avevano reso necessario più volte il ricovero presso centri di assistenza.
Accertata la non conformità del mezzo al contratto di vendita, dunque, si chiedeva la condanna della concessionaria alla sostituzione dell’autovettura ai sensi degli artt. 129 ss. del Codice del Consumo.
Il convenuto eccepiva nella propria comparsa il proprio difetto di legittimazione passiva, in quanto legittimata doveva ritenersi, a suo dire, esclusivamente la casa produttrice, e sosteneva, in ogni caso, l’inoperatività della tutela di cui all’art. 130 Cod. Consumo, sussistendo una sproporzione tra la richiesta di sostituzione e i vizi presentati dall’autoveicolo.

Il Tribunale di Palermo, con il provvedimento in oggetto, ha sottolineato che, in ogni caso, legittimata passiva è da ritenersi esclusivamente la concessionaria degli autoveicoli e non l’azienda produttrice, e ciò in quanto il caso in esame riguarda l’accertamento della non conformità del bene acquistato rispetto al contratto di vendita, che vede come legittimato passivo, ai sensi della disciplina contenuta nel Codice del Consumo, il venditore.

Diversa è la fattispecie, richiamata dalle difese di parte convenuta, contenuta nell’art. 114 ss. del Codice del Consumo, che prevede la responsabilità del produttore per il danno causato da prodotti difettosi. Detta disciplina infatti, nel prevedere la responsabilità del produttore per i danni cagionati da difetti del suo prodotto, limita il risarcimento alle ipotesi di danno cagionato dalla morte o da lesioni personali e di distruzione o deterioramento di beni diversi dal prodotto difettoso. Ipotesi del tutto diverse rispetto a quella in esame, che concerne la consegna di un bene non conforme al contratto di vendita.

La Terza Sezione civile del Tribunale di Palermo ha quindi condannato la concessionaria alla sostituzione dell’autovettura con altra di medesima marca e modello, oltre al risarcimento dei danni subìti e rifusione delle spese legali, sulla base delle seguenti considerazioni.

L’art. 129 del Codice del Consumo prevede l’obbligo del venditore di consegnare al consumatore beni conformi al contratto di vendita e indica come presupposti della conformità del bene le circostanze che i beni siano idonei all’uso tipico, siano conformi alla descrizione e possiedano le qualità vantate dal venditore, presentino qualità e prestazioni abituali per quel tipo di bene e siano idonei all’uso particolare voluto dal consumatore laddove comunicato, e accettato, dal venditore.
Il Tribunale di Palermo, ha dunque accertato la non conformità del veicolo acquistato dal convenuto al contratto di vendita, difettando esso delle qualità e prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo (in particolare, l’affidabilità) che il cliente avrebbe potuto ragionevolmente aspettarsi tenuto conto anche del messaggio pubblicitario utilizzato per quel tipo di autoveicolo. E ciò alla luce delle risultanze della C.T.U., che ha definito il bene come malfunzionante e non conforme alla descrizione fattane attraverso il messaggio pubblicitario per l’affidabilità evidenziata insieme alle sue prestazioni.
A nulla rileva il fatto che durante la prova su strada, eseguita nell’ambito della consulenza tecnica, la vettura non presentasse particolari anomalie, in quanto il requisito dell’affidabilità del mezzo non è conseguente alla sua funzionalità occasionale, ma nel caso concreto è escluso dalla molteplicità e varietà delle anomalie manifestate dal bene nei primi due anni d’acquisto.

Il fatto che il bene non sia conforme all’uso cui è destinato comporta l’applicazione del rimedio di cui all’art. 130 del Codice del Consumo, che prevede il diritto dell’acquirente ad ottenere il ripristino senza spese della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione (a scelta del consumatore, presupponendo la possibilità del rimedio e tenuto conto della non eccessiva onerosità rispetto all’altro rimedio). In particolare, si può considerare eccessivamente oneroso un rimedio che imponga al venditore di effettuare spese irragionevoli, tenuto conto del valore del bene, dell’entità del difetto di conformità e dell’eventualità che il rimedio alternativo possa essere esperito senza notevoli inconvenienti per il consumatore.
E ciò entro un congruo termine per il consumatore, che non deve subire un pregiudizio ulteriore.

Con riferimento all’aspetto temporale, l’art. 132 del Codice del Consumo prevede la responsabilità del venditore qualora il difetto di conformità si manifesti entro il termine di due anni dalla consegna del bene, e prevede una presunzione di sussistenza al momento dell’acquisto per i vizi che si manifestino nei sei mesi dalla vendita.
Nel caso in oggetto, osserva il Tribunale, si rientra pienamente nel termine prescritto in quanto i primi difetti dell’autoveicolo si sono manifestati entro i sei mesi dalla consegna, e, in ogni caso, la quasi totalità dei malfunzionamenti si è manifestata nei due anni dalla consegna.

Per concludere, secondo il Giudice, nel caso in esame, tenuto conto della gravità dei difetti e della reiterazione degli stessi, la sostituzione integrale dell’autoveicolo con altra autovettura della medesima marca e modello costituisce il rimedio più consono per l’attore e meno oneroso, in coerenza con la previsione dell’art. 130 del Codice del Consumo.



giovedì 26 novembre 2015

LA RESPONSABILITÀ DEL VETTORE FERROVIARIO PER I DANNI AI PASSEGGERI



Durante un viaggio in treno possono verificarsi eventi dannosi a carico dei passeggeri.
Ai sensi dell'art. 1678 c.c. il vettore si obbliga, con il contratto di trasporto, a trasferire persone da un luogo a un altro. In base al successivo art. 1681 c.c., il vettore risponde dei sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore durante il viaggio se non prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Sono nulle tutte le clausole che limitano tale responsabilità del vettore per i sinistri che colpiscono il viaggiatore.
Più nello specifico il trasporto ferroviario interno di persone è regolato dal R.D.L. 11 ottobre 1934 n. 1948: se il viaggiatore subisce un danno nella persona in conseguenza di anormalità verificatesi nell'esercizio ferroviario, l'Amministrazione ne risponde, a meno che provi che l'anormalità è avvenuta per caso fortuito o forza maggiore.
Leggendo tale disposizione in concerto con l'articolo 1681 cod. civ. si deduce l'inversione dell'onere della prova allorquando viene provata l'anormalità del servizio di trasporto: dal momento della dimostrazione dell'anormalità vige una presunzione di colpa a carico del vettore.
A disciplinare la responsabilità delle imprese ferroviarie in relazione ai passeggeri è intervenuto il Regolamento CE 2007/1371 della Commissione Europea relativo ai diritti e agli obblighi dei
passeggeri nel trasporto ferroviario. L'art. 26 dell'Allegato 1 al Regolamento prevede che il trasportatore è responsabile del danno derivante dalla morte, dal ferimento o da qualsiasi altro pregiudizio all'integrità fisica o psichica del viaggiatore, causato da un incidente che sia in relazione con l'esercizio ferroviario e sopravvenga durante la permanenza del viaggiatore nei veicoli ferroviari, o al momento in cui egli vi entra o ne esce, qualunque sia l'infrastruttura ferroviaria utilizzata. La responsabilità viene meno se l'incidente è stato causato da una colpa del viaggiatore ovvero da circostanze estranee all'esercizio ferroviario, circostanze che il trasportatore non poteva evitare. Infine il vettore non incorre in responsabilità laddove l'incidente sia dovuto al comportamento di un terzo.
Il Tribunale di Reggio Emilia, nella sentenza del 5 febbraio 2014, afferma che in tema di trasporto di persone, il viaggiatore che assuma di aver subìto danni a causa del trasporto, ha l'onere di dimostrare il nesso esistente tra l'evento dannoso e il trasporto medesimo; resta poi a carico del vettore l'onere di provare che l'evento dannoso costituisce fatto imprevedibile e non evitabile con la normale diligenza. In questi termini anche Cass. civ. n. 4482/2009 e Cass. civ. n. 16893/2010, secondo cui: «Nel contratto di trasporto di persone […], il viaggiatore che abbia subìto danni a causa del trasporto (quando cioè il sinistro è posto in diretta, e non occasionale, derivazione causale rispetto all'attività di trasporto), ha l'onere di provare il nesso eziologico esistente tra l'evento dannoso ed il trasporto medesimo (dovendo considerarsi verificatisi durante il viaggio anche i sinistri occorsi durante le operazioni preparatorie o accessorie, in genere, del trasporto e durante le fermate), essendo egli tenuto ad indicare la causa specifica di verificazione dell'evento; incombe, invece, sul vettore, al fine di liberarsi dalla presunzione di responsabilità a suo carico […], l'onere di provare che l'evento dannoso costituisce fatto imprevedibile e non evitabile con la normale diligenza».

Tuttavia, spesso i vettori inseriscono nelle Condizioni Generali di Trasporto clausole tendenti a limitare la responsabilità per i danni alla persona del passeggero. Al riguardo, la Camera di Commercio di Milano, nel «Parere in materia di clausole vessatorie nei contratti di trasporto ferroviario», ha evidenziato l’illegittimità del punto 10.2 delle Condizioni Generali di Trasporto dei passeggeri di Trenitalia, laddove inserisce una previsione secondo la quale il vettore non risponde dell'operato dei suoi agenti qualora essi operino, su richiesta del passeggero, per prestazioni che non competono al vettore o comunque al di fuori delle mansioni loro attribuite. La suddetta previsione vìola il principio del ragionevole affidamento del passeggero verso il personale di bordo, il quale dovrebbe semmai rifiutarsi di eseguire le prestazioni richiestegli. Similmente è illegittima la clausola inserita da Trenord nell'art. 73 punto 4) delle Condizioni Generali di Trasporto laddove, circa la responsabilità per danno alle persone, prevede in capo al viaggiatore l'onere di far constatare immediatamente il danno al personale addetto al controllo. 

venerdì 6 novembre 2015

Il demansionamento in assenza di mobbing legittima il danno biologico

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 05 novembre 2015, n. 22635

La Corte di Cassazione, con tale sentenza, ha riconosciuto ad un lavoratore il risarcimento del danno biologico per lesione dell'integrità psicofisica dovuta ad un demansionamento anche in assenza di mobbing. 
Il caso trae origine da una sentenza con cui la Corte d'Appello di Caltanissetta accoglieva l'appello proposto da un lavoratore e condannava la società datrice di lavoro al risarcimento del danno biologico e da perdita di professionalità da questi subiti. In particolare, diversamente da quanto statuito dal giudice di primo grado, la Corte riteneva provata una condotta datoriale di demansionamento in danno del lavoratore ma escludeva, tuttavia, che essa integrasse gli estremi di mobbing, pur ritenendo provato il nesso di causalità tra la mancata assegnazione di mansioni al lavoratore (affidandole ad altri colleghi) e la lesione alla sua integrità psicofisica come accertata dalla c.t.u. e, pertanto, condannava la società datrice di lavoro al risarcimento del danno biologico, quantificato nel 15% e liquidato sulla base delle tabelle redatte dal Tribunale di Palermo, nonché del danno da perdita di professionalità, determinato in via equitativa in € 5.000,00.
Avverso tale sentenza  la società ha proposto ricorso per Cassazione, censurando la decisione impugnata per aver risarcito il danno biologico nonostante avesse rigettato, per difetto di prova, la domanda di mobbing. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso.
Invero,è jus receptum  che il mobbing è una figura complessa che, secondo quanto affermato dalla Corte Costituzionale e recepito dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, designa un fenomeno molto complesso consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o del suo capo, caratterizzati di un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato ad escludere il lavoratore dal gruppo.
In realtà, ad avviso della Suprema Corte la complessità della fattispecie del mobbing e la mancanza di una sua specifica disciplina confermano l'esattezza della scelta della Corte d'Appello di ritenere che, esclusa la sussistenza dell'intento vessatorio e persecutorio, rimanesse comunque valutabile la condotta di "radicale e sostanziale esautoramento" del lavoratore dalle sue mansioni, la quale è fonte di danno alla sfera patrimoniale e/o non patrimoniale del lavoratore ove ricollegabile eziologicamente all'inadempimento del datore di lavoro.

giovedì 24 settembre 2015

Infezione ospedaliera post sinistro: proprietario del veicolo e struttura sanitaria rispondono in solido

Tribunale di Milano, Sez. I, 16 aprile 2015, n. 4841

Nella sentenza in oggetto, il Tribunale di Milano ha affrontato il caso della concorrente responsabilità tra il proprietario del veicolo e la struttura sanitaria presso cui era stato ricoverato il soggetto danneggiato.

Nello specifico, un soggetto, dopo esser stato investito, veniva trasportato presso la vicina azienda ospedaliera per ricevere le cure necessarie. Tuttavia, l'errata e negligente prestazione professionale resa dai sanitari cagionava allo stesso lesioni ben più gravi di quelle conseguenti all'investimento.

Una volta accertato in sede di CTU medico legale che il paziente aveva contratto un'infezione da enterobacter cloacae in occasione del primo ricovero avvenuto subito dopo il sinistro, il Giudice ha ritenuto provata la responsabilità dei sanitari per considerazioni di natura probabilistica, per la non contestata negatività per il predetto batterio in un fase precedente all'intervento, per la compatibilità cronologica e l'esclusione di altre potenziali cause di trasmissione dell'infezione nel periodo successivo alla degenza. Il Giudice ha dunque condannato in solido il proprietario del veicolo e l'azienda ospedaliera per i danni subiti dal soggetto in seguito ed a causa del sinistro.

mercoledì 29 luglio 2015

Risarcimento del danno non patrimoniale da "volo cancellato"

Cassazione Civile, 10 giugno 2015, n. 12088


La Corte di Cassazione, con sentenza del 10 giugno 2015 n. 12088, si è espressa negativamente in merito al ricorso promosso da un passeggero che invocava in giudizio la compagnia aerea con cui aveva viaggiato, chiedendole un risarcimento danni.
Nel caso in esame, il ricorrente, di ritorno da Guadalupe, recandosi in aeroporto per prendere il volo con destinazione Verona, veniva informato della cancellazione del volo stesso a causa di uno sciopero nazionale. Il viaggiatore pertanto, si vedeva costretto a trascorrere tutta la notte in aeroporto, non avendo al compagnia aerea predisposto un piano di pernottamento di emergenza. La mattina seguente, il viaggiatore poteva finalmente imbarcarsi sul volo programmato per fare rientro a Verona con un giorno di ritardo.
A seguito di tale vicende, il ricorrente adiva il Giudice di Pace, chiedendo il risarcimento dei danni subiti. Il suddetto Giudice rigettava le pretese avanzate.
Il Tribunale di Verona, in sede di appello, accoglieva parzialmente le richieste del ricorrente e condannava la compagnia aerea a corrispondere la somma di euro 52,95 a titolo di risarcimento delle spese vive sostenute a terra durante l’attesa del volo.
Avverso tale sentenza il passeggero ricorreva in Cassazione lamentando che i giudici dei precedenti gradi di giudizio non avevano adeguatamente considerato le circostanze volte a dimostrare la sussistenza di un danno anche non patrimoniale. In effetti, il ricorrente sosteneva la violazione dell’art. 9 del Regolamento CE n. 261 del 2004 che prevede l’obbligo di assistenza da parte del vettore aereo operativo in favore del passeggero.
La Cassazione pur riconoscendo la violazione del Regolamento citato, riteneva di non poterlo applicare al caso di specie. La Suprema Corte giungeva a dichiarare che il fondamento normativo per il risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla violazione degli obblighi di assistenza a terra, non possa reperirsi direttamente nella fonte sovranazionale, ma debba farsi riferimento alle norme dell’ordinamento interno.

Sicché la somma richiesta a titolo di danno non patrimoniale derivante dal disagio subito a causa della mancata assistenza, non trovava accoglimento in tale sede.

venerdì 24 luglio 2015

La responsabilità, penale e civile, del gestore del pub per gli schiamazzi dei clienti

Cassazione, Sez. Lavoro, 23 giugno 2015, n. 12967


Il gestore di un pub ha il potere-dovere di cacciare i clienti particolarmente rumorosi se i loro schiamazzi arrecano disturbo alla quiete pubblica. In tal senso ha statuito la Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 12967 del 23 giugno 2015.
Nel caso specifico, la Suprema Corte ha confermato la condanna inflitta dal Tribunale di Torino alla proprietaria di un pub in base all’art. 659, comma 1, c.p. La norma, com’è noto, dispone che «1. Chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 309 euro. 2. Si applica l’ammenda da 103 euro a 516 euro a chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell’Autorità».
La donna era finita sotto accusa poiché dal suo locale provenivano rumori intollerabili dovuti agli schiamazzi di alcuni clienti, i quali arrecavano disturbo alla quiete del riposo dei vicini. In Cassazione, l’imputata contestava la propria responsabilità affermando, tra le altre, che la norma penale in oggetto non dovrebbe trovare applicazione nei confronti del gestore di un locale con riferimento a condotte poste in essere da terzi.
La Suprema Corte, tuttavia, ha confermato la condanna della donna affermando che la qualità di titolare della gestione comporta l’assunzione dell’obbligo giudico di controllare che la frequentazione del locale, da parte dei clienti, non sfoci in condotte contrastanti con l’ordine pubblico. Inoltre, se gli schiamazzi si verificano all’interno dell’esercizio commerciale, il gestore ha sicuramente la possibilità di impedirli, esercitando tra l’altro lo ius excludendi, vale a dire il diritto di escludere i clienti non graditi dal locale, potendo addirittura richiedere l’intervento delle Autorità di pubblica sicurezza al fine di evitare che determinate condotte sfocino in comportamenti contrastanti con le norme poste a tutela della tranquillità pubblica.
Sarà sufficiente, dunque, provare che il gestore del locale non ha esercitato il proprio potere-dovere di controllo, al fine di ottenere la condanna nonché il risarcimento del danno subìto.


mercoledì 22 luglio 2015

La "doppia faccia" del danno alla persona

Cassazione Civile, Sez. III, 9 giugno 2015, n. 11851


La Corte di Cassazione, sez. III, civile, nella sentenza n. 11851, del 09/06/2015, affronta e approfondisce il più volte discusso tema del danno alla persona.
La sentenza in esame ha ad oggetto la richiesta di risarcimento danni, nello specifico, non patrimoniali, patiti dal marito e dal figlio, in conseguenza della malattia e del successivo decesso, rispettivamente, della moglie e della madre, affetta da carcinoma maligno all’utero, che se tempestivamente diagnosticato, avrebbe potuto essere curato.
I familiari, dinnanzi al Tribunale di Venezia, avevano ottenuto il riconoscimento della responsabilità in capo alla clinica e al medico, oltre al ristoro del danno non patrimoniale, nell’ammontare di 1 milione 816 euro.
In secondo grado la Corte d’Appello di Venezia, riconfermando l’an , riduce il risarcimento a 580.816 euro.
Il medico ritenuto responsabile dell’omessa tempestiva diagnosi, ricorre in Cassazione, ove resistono, con ricorsi incidentali i familiari della vittima, e la clinica.
Superando una visione unitaria di danno alla persona, considerata riduttiva, vieni qui individuata una visione più ampia, e completa.
La Suprema Corte, nella sentenza in esame, dopo aver indicato la base normativa sia del danno esistenziale che è rappresentata dagli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni Private (d.lgs. n. 209 del 2005), che del danno morale, rappresentata dal d.P.R. n. 31 del 2009 e n. 191 del 2009, afferma che si tratta di danni diversi e autonomamente risarcibili, reiterando così la legittimità del danno morale, ma in una duplice veste: quella di tipo relazionale e quella di natura interiore.

Sarà compito del giudice valutare, di volta in volta, quindi, sia la sofferenza morale interiore, sia l’alterazione dei precedenti aspetti dinamico- relazionali del soggetto leso. 

venerdì 17 luglio 2015

Il risarcimento danni per il pedone investito da un tram: fondamento normativo e onere probatorio

Cassazione Civile, Sez. III, 29 maggio 2015, n. 11192


Con la sentenza in oggetto, la Suprema Corte si è pronunciata in merito ad una particolare tipologia di sinistro stradale riguardante l’investimento di un pedone da parte di un tram dell’azienda ATAC di Roma.
Il fatto, risalente al 1996, dopo un annullamento con rinvio operato dalla stessa Corte con la sentenza n. 2134 del 2006, è stato nuovamente portato all’attenzione del Giudice di legittimità facendo leva su una serie di censure di fatto che sono state rigettate in pieno. Quel che qui interessa, invece, è la questione relativa all’applicabilità ai sinistri causati da «veicoli a guida di rotaie» dell’art. 2054 c.c., e della relativa presunzione di responsabilità del conducente.
Com’è noto, in base all’art. 2054, comma 1, c.c., «Il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno». Orbene, risulta evidente come il tenore letterale della norma escluda esplicitamente dal proprio ambito di applicabilità i veicoli a guida vincolata su rotaie, quali sono i convogli tranviari.
In uno dei pochissimi precedenti in materia, la Cassazione aveva già statuito che «Nel caso di scontro fra un tram ed un veicolo senza guida di rotaie, il conducente del primo veicolo, ancorché non soggetto alla presunzione stabilita dall'art. 2054, secondo comma, cod. civ., può tuttavia essere ritenuto responsabile a norma dell'art. 2043 cod. civ.». Nella pronuncia odierna, la conclusione del Giudice di legittimità è la medesima, e si fonda su due elementi pacifici: da un lato, il dato letterale dell’art. 2054 c.c. che, ripetiamo, esclude dal proprio ambito di applicabilità i «veicoli a guida di rotaie»; dall’altro, l’obbligo comunque gravante sul conducente di tali veicoli di rispettare le regole della circolazione stradale, pena l’insorgere di un sua responsabilità in base al principio generale del neminem laedere.
Tale conclusione, tuttavia, determina un’inversione dell’onere probatorio. Sarà infatti onere dell’attore provare tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, ossia il fatto illecito, il danno ingiusto, il nesso di causalità tra fatto e danno, la colpevolezza dell’agente e l’imputabilità del fatto lesivo allo stesso.

lunedì 13 luglio 2015

Guida in stato di ebbrezza anche in bici (Cassazione Pen., Sez. IV, 28/04/2015, n. 17684)

La Cassazione ha esaminato il caso di un anziano signore che guidava la propria bicicletta con un tasso alcolemico elevato. L'uomo che non si trovava alla guida di un veicolo a motore è stato condannato dai giudici territoriali perché colpevole del reato di cui all'art. 186, commi 1 e 2 lett. b), d. lgs. 30 aprile 1992 n. 285 per aver circolato sulla pubblica via alla guida di un velocipede, benché fosse in stato di ebbrezza con tasso alcolemico pari a 0,9 g/l. 
Ha proposto ricorso per Cassazione deducendo la violazione di legge in quanto la fattispecie prevista dall'art. 186 cod. strada non può essere applicata  nel caso in cui non si guidi un veicolo a motore. Il ricorrente riteneva che dovesse essere applicata alla sanzione penale il medesimo principio interpretativo espresso dalla giurisprudenza di legittimità a proposito della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, che non può essere applicata a colui il quale si è posto alla guida di un veicolo per la cui circolazione non è stata richiesta alcuna abilitazione. 
Per la Corte il ricorso è infondato, infatti, rigettando la domanda ha osservato che "la prospettazione avanzata dal ricorrente in ordine alla pretesa inapplicabilità della disciplina penalistica della guida in stato di ebbrezza alla conduzione di veicoli non motorizzati (e segnatamente della bicicletta), non è condivisibile, essendosi i giudici di merito allineati al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, autorevolmente sostenuto dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte nel 2002, quando si è precisato che 'Se è vero che la reazione dell'ordinamento giuridico, quando si prevede la sanzione accessoria della sospensione della patente di guida, svolge effettivamente funzione cautelare, in quanto le misure rimediano nell'immediato ad uno stato di pericolo concreto, invece il ritiro della patente non potrebbe svolgere alcuna funzione cautelare se la violazione, prevista e punita dall'art. 186 cod. strada fosse commessa alla guida di una bicicletta o di altro veicolo per i quali non sia richiesta la patente. In questi casi, l'agente che accerti la violazione e si preoccupi, come deve, che l'autore della stessa non circoli, con quel veicolo, il ritiro di patente non sarebbe affatto di nessun ostacolo, in futuro, alla circolazione, non essendo previsto per lo stesso il possesso della patente' da ciò si desume chiaramente la pacifica rilevanza penale della condotta di guida in stato di ebbrezza qualora il mezzo di circolazione sia una bicicletta indipendentemente dall'applicabilità delle sanzioni amministrative accessorie previste dalla norma violata".
In conclusione continuano i giudici "si deve ribadire che il reato di guida in stato di ebbrezza può essere commesso attraverso la conduzione di una bicicletta, e a tal fine rivestendo un ruolo decisivo la concreta idoneità del mezzo usato a interferire sulle generali condizioni di regolarità e di sicurezza della circolazione stradale ( Sez. 4, n. 4893 del 22/01/2015)".        




mercoledì 24 giugno 2015

Danno non patrimoniale: gli ultimi chiarimenti della Cassazione (nn. 9320 e 12594 del 2015)

da Diritto24.it

Per evitare il rischio che il danno non patrimoniale non venga liquidato nella sua integralità e completezza, e che si cada così nell'errore di dar vita ad un vero e proprio "vuoto risarcitorio", la Suprema Corte torna, con due recentissime sentenze, a fornire precisazioni e chiarimenti circa la corretta interpretazione da attribuire ai principi stabiliti dalle note "sentenze di San Martino" del 2008 (le famose pronunce delle Sezioni Unite, numeri 26972-26976/2008).

Le pronunce in argomento, entrambe dalla terza sezione civile della Cassazione, sono, dalla più remota alla più recente, la numero 9320/2015 (depositata lo scorso 8 maggio) e la numero 12594/2015 (depositata il 18 giugno).

lunedì 8 giugno 2015

Infermiere responsabile se non segnala l'errore al medico

Cassazione penale, sez. IV, sentenza 16/01/2015 n° 2192

da Altalex.it

L’infermiere, in considerazione della qualità e del corrispondente spessore contenutistico della relativa attività professionale, ha un preciso dovere di attendere all'attività di somministrazione dei farmaci in modo non meccanicistico (ossia misurato sul piano di un elementare adempimento di compiti meramente esecutivi), occorrendo viceversa intenderne l'assolvimento secondo modalità coerenti ad una forma di collaborazione con il personale medico orientata in termini critici; e tanto, non già al fine di sindacare l'operato del medico (segnatamente sotto il profilo dell'efficacia terapeutica dei farmaci prescritti), bensì allo scopo di richiamarne l'attenzione sugli errori percepiti (o comunque percepibili), ovvero al fine di condividerne gli eventuali dubbi circa la congruità o la pertinenza della terapia stabilita rispetto all'ipotesi soggetta a esame.

venerdì 5 giugno 2015

Responsabilità medica: quando sussiste il concorso di colpa del paziente?

Corte d'Appello, Roma, sentenza 11/03/2015 n° 1667

da Altalex.it

Il concorso di colpa del paziente (ex art. 1227 c.c.), consistito nell’essersi procurato la lesione che ha reso necessario l’intervento sanitario, riduce proporzionalmente la responsabilità del medico.
È questo, in estrema sintesi, il principio espresso dalla Corte di Appello di Roma nella sentenza n. 1667 del 2015, resa nel delicato settore della responsabilità civile in campo medico, recentemente interessato da una serie di pronunce (da ultimo, la più importante del Tribunale di Milano del 17 luglio 2014) che vanno tutte nella direzione di un temperamento di tale forma di responsabilità al fine di arginare il noto fenomeno della “medicina difensiva”.




giovedì 4 giugno 2015

Sinistro stradale: insufficiente la richiesta generica all'assicurazione

Tribunale, Napoli, sentenza 31/03/2015 n° 4849

da Altalex.it

Nella vicenda in oggetto (Tribunale di Napoli, sentenza 31 marzo 2015, n. 4849), l’attore aveva proposto domanda per ottenere dall’assicurazione il risarcimento dei danni per le lesioni subìte in conseguenza di un sinistro stradale. A norma dell’art. 145 del D.Lgs. 209/2005, l’azione di risarcimento danni causati da circolazione veicoli e natanti, può essere proposta...

venerdì 29 maggio 2015

Danno psichico: lutto da fatto illecito. Risarcimento. La valutazione del danno psichico e il risarcimento.

da Diritto.it

1. Presentazione 

Il presente scritto ha lo scopo di sottoporre all’attenzione dei professionisti del settore (giuristi, medici legali e psichiatri forensi) la necessità di una più precisa collocazione nosografica­psicopatologica della particolare fattispecie del lutto da fatto illecito, da intendersi come fattispecie autonoma in senso medico clinico, ma soprattutto valutativo medico legale – con notevoli conseguenze in tema di risarcibilita’ ed entita’ del risarcimento -rispetto alla fattispecie del lutto naturale, secondo la proposta personale dell’Autore, presentata ufficialmente per la prima volta all'interno del gruppo di lavoro della SMLT Società medico legale del Triveneto nel 2011.

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