La Corte di Cassazione, con tale sentenza,
ha riconosciuto ad un lavoratore il risarcimento del danno biologico per
lesione dell'integrità psicofisica dovuta ad un demansionamento anche in
assenza di mobbing.
Il caso trae origine da una sentenza con
cui la Corte d'Appello di Caltanissetta accoglieva l'appello proposto da un
lavoratore e condannava la società datrice di lavoro al risarcimento del danno biologico e da perdita di professionalità da questi subiti. In particolare,
diversamente da quanto statuito dal giudice di primo grado, la Corte riteneva
provata una condotta datoriale di demansionamento in danno del lavoratore ma
escludeva, tuttavia, che essa integrasse gli estremi di mobbing, pur ritenendo provato il nesso di
causalità tra la mancata assegnazione di mansioni al lavoratore (affidandole ad
altri colleghi) e la lesione alla sua integrità psicofisica come accertata
dalla c.t.u. e, pertanto, condannava la società datrice di lavoro al
risarcimento del danno biologico, quantificato nel 15% e liquidato sulla base
delle tabelle redatte dal Tribunale di Palermo, nonché del danno da perdita di
professionalità, determinato in via equitativa in € 5.000,00.
Avverso tale sentenza la società ha
proposto ricorso per Cassazione, censurando la decisione impugnata per aver
risarcito il danno biologico nonostante avesse rigettato, per difetto di prova,
la domanda di mobbing. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso.
Invero,è jus
receptum che il mobbing è una figura complessa che, secondo
quanto affermato dalla Corte Costituzionale e recepito dalla giurisprudenza
della Corte di Cassazione, designa un fenomeno molto complesso consistente in
una serie di atti o comportamenti
vessatori, protratti nel tempo, posti
in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di
lavoro in cui è inserito o del suo capo, caratterizzati di un intento di persecuzione ed emarginazione
finalizzato ad escludere il lavoratore dal gruppo.
In realtà, ad avviso della Suprema Corte
la complessità della fattispecie del mobbing e la mancanza di una sua specifica
disciplina confermano l'esattezza della scelta della Corte d'Appello di
ritenere che, esclusa la sussistenza dell'intento vessatorio e persecutorio,
rimanesse comunque valutabile la condotta di "radicale e sostanziale
esautoramento" del lavoratore dalle sue mansioni, la quale è fonte di danno alla sfera patrimoniale e/o
non patrimoniale del
lavoratore ove ricollegabile eziologicamente all'inadempimento del datore di
lavoro.
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