Centro Studi e Ricerche SLR

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venerdì 6 novembre 2015

Il demansionamento in assenza di mobbing legittima il danno biologico

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 05 novembre 2015, n. 22635

La Corte di Cassazione, con tale sentenza, ha riconosciuto ad un lavoratore il risarcimento del danno biologico per lesione dell'integrità psicofisica dovuta ad un demansionamento anche in assenza di mobbing. 
Il caso trae origine da una sentenza con cui la Corte d'Appello di Caltanissetta accoglieva l'appello proposto da un lavoratore e condannava la società datrice di lavoro al risarcimento del danno biologico e da perdita di professionalità da questi subiti. In particolare, diversamente da quanto statuito dal giudice di primo grado, la Corte riteneva provata una condotta datoriale di demansionamento in danno del lavoratore ma escludeva, tuttavia, che essa integrasse gli estremi di mobbing, pur ritenendo provato il nesso di causalità tra la mancata assegnazione di mansioni al lavoratore (affidandole ad altri colleghi) e la lesione alla sua integrità psicofisica come accertata dalla c.t.u. e, pertanto, condannava la società datrice di lavoro al risarcimento del danno biologico, quantificato nel 15% e liquidato sulla base delle tabelle redatte dal Tribunale di Palermo, nonché del danno da perdita di professionalità, determinato in via equitativa in € 5.000,00.
Avverso tale sentenza  la società ha proposto ricorso per Cassazione, censurando la decisione impugnata per aver risarcito il danno biologico nonostante avesse rigettato, per difetto di prova, la domanda di mobbing. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso.
Invero,è jus receptum  che il mobbing è una figura complessa che, secondo quanto affermato dalla Corte Costituzionale e recepito dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, designa un fenomeno molto complesso consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o del suo capo, caratterizzati di un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato ad escludere il lavoratore dal gruppo.
In realtà, ad avviso della Suprema Corte la complessità della fattispecie del mobbing e la mancanza di una sua specifica disciplina confermano l'esattezza della scelta della Corte d'Appello di ritenere che, esclusa la sussistenza dell'intento vessatorio e persecutorio, rimanesse comunque valutabile la condotta di "radicale e sostanziale esautoramento" del lavoratore dalle sue mansioni, la quale è fonte di danno alla sfera patrimoniale e/o non patrimoniale del lavoratore ove ricollegabile eziologicamente all'inadempimento del datore di lavoro.

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