Articolo pubblicato sulla rivista giuridica "La Tribuna", n° 12, del
Dicembre 2011.
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Con
il termine “danno tanatologico” in linea di prima approssimazione si fa
riferimento al danno derivante dalla morte di un individuo, a causa di una
condotta illecita da parte di un terzo.
Appare, invero, di grande attualità la discussione
giurisprudenziale e dottrinale inerente la corretta definizione di tale
fattispecie di danno, il profilo della sua autonomia rispetto ad altre figure
quali il danno morale, biologico od esistenziale e, in generale, il suo
controverso posizionamento all’interno dell’ordinamento giuridico.
Con
riferimento al danno tanatologico, infatti, non solo non è dato rinvenire un
esplicito referente normativo, ma appare inoltre controversa la stessa valutazione
degli elementi necessari a determinarne la risarcibilità.
A
tal proposito, uno dei punti più discussi è la distinzione tra le pretese
risarcitorie esercitabili jure proprio da parte di chi aveva
con il defunto legami affettivi, familiari o di lavoro da quelle esercitabili jure
hereditatis. Su tale questione, che costituisce il punto nevralgico di
ogni discussione sull’argomento, si concentra l’interesse degli operatori di
diritto e pertanto andrà di seguito adeguatamente approfondita.