Centro Studi e Ricerche SLR

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venerdì 22 febbraio 2019

Risarcimento Danni a seguito di offese riguardanti la sessualità. Nota a Sent. Cass. Civ. 4815/2019.



La Suprema Corte ha affermato il principio secondo cui, in tema di danno non patrimoniale provocato da condotte vessatorie, la prova può essere raggiunta facendo ricorso a presunzioni semplici.
La vicenda è la seguente: un dirigente ha chiesto il risarcimento del danno non patrimoniale cagionato dalla condotta vessatoria del legale rappresentante di una società,  concretizzatesi nelle ripetute offese sulla presunta omosessualità del dirigente stesso.
Il giudice di merito aveva accolto la domanda sia in primo che in secondo grado, ritenendola provata quanto alla condotta vessatoria datoriale, tramite prova testimoniale, quanto al danno subito dal dirigente, facendo ricorso a presunzioni.
L’azienda ha impugnato la sentenza del giudice d’appello dinanzi alla S.C., deducendo, tra l’altro, la mancanza di qualsiasi accertamento in merito all’esistenza del danno.
La Corte di legittimità, dopo aver percorso un excursus giurisprudenziale, ha così avuto modo di ribadire il proprio orientamento in tema di danno non patrimoniale statuendo che, allorquando il danno sia conseguente alla lesione di diritti inviolabili della persona costituzionalmente garantiti, può essere accertato pure in assenza di un fatto reato e facendo riferimento, anche in via esclusiva, a presunzioni semplici.
in tal caso il convincimento del giudice di merito, ove adeguatamente motivato, non potrà essere sindacato dal giudice di legittimità.
                                                                                                       Avv. Davide Rolli 


lunedì 7 marzo 2016

OMICIDIO STRADALE: APPROVATA LA LEGGE.



Mercoledì 2 febbraio 2016 è stata approvata la legge che introduce nel Codice Penale il delitto di omicidio stradale (art. 589-bis), attraverso il quale è punito, a titolo di colpa, con la reclusione (di diversa entità in ragione del grado della colpa stessa) il conducente di veicoli a motore la cui condotta imprudente costituisce causa dell’evento mortale.
È confermata la fattispecie generica di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale (la pena rimane la reclusione da 2 a 7 anni), è punito con la reclusione da 8 a 12 anni l’omicidio stradale colposo commesso da conducenti di un veicolo a motore, in stato di ebbrezza alcolica grave (tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro), o di alterazione psico-fisica conseguente alla assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope; se si tratta di conducenti professionali, per l’applicazione della stessa pena è sufficiente essere in stato di ebbrezza alcolica media ( tasso alcolemico tra 0,8 e 1,5 grammi per litro).
È invece punito con la pena della reclusione da 5 a 10 anni l’omicidio stradale colposo commesso da conducenti di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica media, autori di specifici comportamenti connotati da imprudenza e che sono i seguenti: superamento di limiti di velocità, attraversamento di incroci con semaforo rosso; circolazione contromano; inversione di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi; sorpassi azzardati.
La pena è diminuita fino alla metà quando l’omicidio stradale, pur cagionato dalle suddette condotte imprudenti, non sia esclusiva conseguenza dell’azione (o omissione) del colpevole. La pena è invece aumentata se l’autore del reato non ha conseguito la patente (o ha la patente sospesa o revocata) o non ha assicurato il proprio veicolo a motore.
È poi previsto, un aumento della pena nel caso in cui il conducente provochi la morte di più persone, ovvero la morte di una o più persone e le lesioni di una più o più persone. Anche qui si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la pena più grave delle violazioni commesse, aumentata fino al triplo; il limite massimo di pena viene però stabilito in 18 anni.
È stabilita infine, una specifica circostanza aggravante nel caso in cui il conducente, responsabile di un omicidio stradale colposo si sia dato alla fuga. In tale ipotesi, la pena è aumentata da un terzo a due terzi e non può comunque essere inferiore a 5 anni.    
In caso di condanna o patteggiamento (anche con la condizionale) per omicidio o lesioni stradali viene automaticamente revocata la patente. Una nuova patente sarà conseguibile solo dopo 15 anni (omicidio) o 5 anni (lesioni). Tale termine è però aumentato nelle ipotesi più gravi: se ad esempio il conducente è fuggito dopo l’omicidio stradale, dovranno trascorrere almeno 30 anni dalla revoca.
Per il nuovo reato di omicidio stradale sono previsti il raddoppio dei termini di prescrizione e l’arresto obbligatorio in flagranza nel caso più grave. Negli altri casi l’arresto è facoltativo. Il pm, inoltre, potrà chiedere per una sola volta di prorogare le indagini preliminari.

Infine, il giudice può ordinare anche d’ufficio il prelievo coattivo di campioni biologici per determinare il dna. Nei casi urgenti e se il ritardo può pregiudicare le indagini il prelievo coattivo può essere disposto anche dal pm. 

venerdì 4 dicembre 2015

Il concessionario risponde per i difetti dell'auto venduta

Tribunale di Palermo, sentenza 17 novembre 2015, n. 6589


Con sentenza del 17 novembre 2015, il Tribunale di Palermo ha condannato una concessionaria automobilistica alla sostituzione di un autoveicolo acquistato da un consumatore, in ragione della circostanza che il bene presentava vizi tali da renderlo non conforme al contratto di vendita.

Il Tribunale palermitano si è pronunciato sulla questione relativa ai rimedi che spettano al consumatore nel caso di acquisto di un bene che presenti gravi vizi tali da renderlo non conforme al contratto di vendita.
Nel caso di specie, l’attore lamentava che, fin dal momento appena successivo alla consegna, la vettura acquistata aveva riportato diversi problemi di funzionamento, che avevano reso necessario più volte il ricovero presso centri di assistenza.
Accertata la non conformità del mezzo al contratto di vendita, dunque, si chiedeva la condanna della concessionaria alla sostituzione dell’autovettura ai sensi degli artt. 129 ss. del Codice del Consumo.
Il convenuto eccepiva nella propria comparsa il proprio difetto di legittimazione passiva, in quanto legittimata doveva ritenersi, a suo dire, esclusivamente la casa produttrice, e sosteneva, in ogni caso, l’inoperatività della tutela di cui all’art. 130 Cod. Consumo, sussistendo una sproporzione tra la richiesta di sostituzione e i vizi presentati dall’autoveicolo.

Il Tribunale di Palermo, con il provvedimento in oggetto, ha sottolineato che, in ogni caso, legittimata passiva è da ritenersi esclusivamente la concessionaria degli autoveicoli e non l’azienda produttrice, e ciò in quanto il caso in esame riguarda l’accertamento della non conformità del bene acquistato rispetto al contratto di vendita, che vede come legittimato passivo, ai sensi della disciplina contenuta nel Codice del Consumo, il venditore.

Diversa è la fattispecie, richiamata dalle difese di parte convenuta, contenuta nell’art. 114 ss. del Codice del Consumo, che prevede la responsabilità del produttore per il danno causato da prodotti difettosi. Detta disciplina infatti, nel prevedere la responsabilità del produttore per i danni cagionati da difetti del suo prodotto, limita il risarcimento alle ipotesi di danno cagionato dalla morte o da lesioni personali e di distruzione o deterioramento di beni diversi dal prodotto difettoso. Ipotesi del tutto diverse rispetto a quella in esame, che concerne la consegna di un bene non conforme al contratto di vendita.

La Terza Sezione civile del Tribunale di Palermo ha quindi condannato la concessionaria alla sostituzione dell’autovettura con altra di medesima marca e modello, oltre al risarcimento dei danni subìti e rifusione delle spese legali, sulla base delle seguenti considerazioni.

L’art. 129 del Codice del Consumo prevede l’obbligo del venditore di consegnare al consumatore beni conformi al contratto di vendita e indica come presupposti della conformità del bene le circostanze che i beni siano idonei all’uso tipico, siano conformi alla descrizione e possiedano le qualità vantate dal venditore, presentino qualità e prestazioni abituali per quel tipo di bene e siano idonei all’uso particolare voluto dal consumatore laddove comunicato, e accettato, dal venditore.
Il Tribunale di Palermo, ha dunque accertato la non conformità del veicolo acquistato dal convenuto al contratto di vendita, difettando esso delle qualità e prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo (in particolare, l’affidabilità) che il cliente avrebbe potuto ragionevolmente aspettarsi tenuto conto anche del messaggio pubblicitario utilizzato per quel tipo di autoveicolo. E ciò alla luce delle risultanze della C.T.U., che ha definito il bene come malfunzionante e non conforme alla descrizione fattane attraverso il messaggio pubblicitario per l’affidabilità evidenziata insieme alle sue prestazioni.
A nulla rileva il fatto che durante la prova su strada, eseguita nell’ambito della consulenza tecnica, la vettura non presentasse particolari anomalie, in quanto il requisito dell’affidabilità del mezzo non è conseguente alla sua funzionalità occasionale, ma nel caso concreto è escluso dalla molteplicità e varietà delle anomalie manifestate dal bene nei primi due anni d’acquisto.

Il fatto che il bene non sia conforme all’uso cui è destinato comporta l’applicazione del rimedio di cui all’art. 130 del Codice del Consumo, che prevede il diritto dell’acquirente ad ottenere il ripristino senza spese della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione (a scelta del consumatore, presupponendo la possibilità del rimedio e tenuto conto della non eccessiva onerosità rispetto all’altro rimedio). In particolare, si può considerare eccessivamente oneroso un rimedio che imponga al venditore di effettuare spese irragionevoli, tenuto conto del valore del bene, dell’entità del difetto di conformità e dell’eventualità che il rimedio alternativo possa essere esperito senza notevoli inconvenienti per il consumatore.
E ciò entro un congruo termine per il consumatore, che non deve subire un pregiudizio ulteriore.

Con riferimento all’aspetto temporale, l’art. 132 del Codice del Consumo prevede la responsabilità del venditore qualora il difetto di conformità si manifesti entro il termine di due anni dalla consegna del bene, e prevede una presunzione di sussistenza al momento dell’acquisto per i vizi che si manifestino nei sei mesi dalla vendita.
Nel caso in oggetto, osserva il Tribunale, si rientra pienamente nel termine prescritto in quanto i primi difetti dell’autoveicolo si sono manifestati entro i sei mesi dalla consegna, e, in ogni caso, la quasi totalità dei malfunzionamenti si è manifestata nei due anni dalla consegna.

Per concludere, secondo il Giudice, nel caso in esame, tenuto conto della gravità dei difetti e della reiterazione degli stessi, la sostituzione integrale dell’autoveicolo con altra autovettura della medesima marca e modello costituisce il rimedio più consono per l’attore e meno oneroso, in coerenza con la previsione dell’art. 130 del Codice del Consumo.



giovedì 26 novembre 2015

LA RESPONSABILITÀ DEL VETTORE FERROVIARIO PER I DANNI AI PASSEGGERI



Durante un viaggio in treno possono verificarsi eventi dannosi a carico dei passeggeri.
Ai sensi dell'art. 1678 c.c. il vettore si obbliga, con il contratto di trasporto, a trasferire persone da un luogo a un altro. In base al successivo art. 1681 c.c., il vettore risponde dei sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore durante il viaggio se non prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Sono nulle tutte le clausole che limitano tale responsabilità del vettore per i sinistri che colpiscono il viaggiatore.
Più nello specifico il trasporto ferroviario interno di persone è regolato dal R.D.L. 11 ottobre 1934 n. 1948: se il viaggiatore subisce un danno nella persona in conseguenza di anormalità verificatesi nell'esercizio ferroviario, l'Amministrazione ne risponde, a meno che provi che l'anormalità è avvenuta per caso fortuito o forza maggiore.
Leggendo tale disposizione in concerto con l'articolo 1681 cod. civ. si deduce l'inversione dell'onere della prova allorquando viene provata l'anormalità del servizio di trasporto: dal momento della dimostrazione dell'anormalità vige una presunzione di colpa a carico del vettore.
A disciplinare la responsabilità delle imprese ferroviarie in relazione ai passeggeri è intervenuto il Regolamento CE 2007/1371 della Commissione Europea relativo ai diritti e agli obblighi dei
passeggeri nel trasporto ferroviario. L'art. 26 dell'Allegato 1 al Regolamento prevede che il trasportatore è responsabile del danno derivante dalla morte, dal ferimento o da qualsiasi altro pregiudizio all'integrità fisica o psichica del viaggiatore, causato da un incidente che sia in relazione con l'esercizio ferroviario e sopravvenga durante la permanenza del viaggiatore nei veicoli ferroviari, o al momento in cui egli vi entra o ne esce, qualunque sia l'infrastruttura ferroviaria utilizzata. La responsabilità viene meno se l'incidente è stato causato da una colpa del viaggiatore ovvero da circostanze estranee all'esercizio ferroviario, circostanze che il trasportatore non poteva evitare. Infine il vettore non incorre in responsabilità laddove l'incidente sia dovuto al comportamento di un terzo.
Il Tribunale di Reggio Emilia, nella sentenza del 5 febbraio 2014, afferma che in tema di trasporto di persone, il viaggiatore che assuma di aver subìto danni a causa del trasporto, ha l'onere di dimostrare il nesso esistente tra l'evento dannoso e il trasporto medesimo; resta poi a carico del vettore l'onere di provare che l'evento dannoso costituisce fatto imprevedibile e non evitabile con la normale diligenza. In questi termini anche Cass. civ. n. 4482/2009 e Cass. civ. n. 16893/2010, secondo cui: «Nel contratto di trasporto di persone […], il viaggiatore che abbia subìto danni a causa del trasporto (quando cioè il sinistro è posto in diretta, e non occasionale, derivazione causale rispetto all'attività di trasporto), ha l'onere di provare il nesso eziologico esistente tra l'evento dannoso ed il trasporto medesimo (dovendo considerarsi verificatisi durante il viaggio anche i sinistri occorsi durante le operazioni preparatorie o accessorie, in genere, del trasporto e durante le fermate), essendo egli tenuto ad indicare la causa specifica di verificazione dell'evento; incombe, invece, sul vettore, al fine di liberarsi dalla presunzione di responsabilità a suo carico […], l'onere di provare che l'evento dannoso costituisce fatto imprevedibile e non evitabile con la normale diligenza».

Tuttavia, spesso i vettori inseriscono nelle Condizioni Generali di Trasporto clausole tendenti a limitare la responsabilità per i danni alla persona del passeggero. Al riguardo, la Camera di Commercio di Milano, nel «Parere in materia di clausole vessatorie nei contratti di trasporto ferroviario», ha evidenziato l’illegittimità del punto 10.2 delle Condizioni Generali di Trasporto dei passeggeri di Trenitalia, laddove inserisce una previsione secondo la quale il vettore non risponde dell'operato dei suoi agenti qualora essi operino, su richiesta del passeggero, per prestazioni che non competono al vettore o comunque al di fuori delle mansioni loro attribuite. La suddetta previsione vìola il principio del ragionevole affidamento del passeggero verso il personale di bordo, il quale dovrebbe semmai rifiutarsi di eseguire le prestazioni richiestegli. Similmente è illegittima la clausola inserita da Trenord nell'art. 73 punto 4) delle Condizioni Generali di Trasporto laddove, circa la responsabilità per danno alle persone, prevede in capo al viaggiatore l'onere di far constatare immediatamente il danno al personale addetto al controllo. 

venerdì 6 novembre 2015

Il demansionamento in assenza di mobbing legittima il danno biologico

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 05 novembre 2015, n. 22635

La Corte di Cassazione, con tale sentenza, ha riconosciuto ad un lavoratore il risarcimento del danno biologico per lesione dell'integrità psicofisica dovuta ad un demansionamento anche in assenza di mobbing. 
Il caso trae origine da una sentenza con cui la Corte d'Appello di Caltanissetta accoglieva l'appello proposto da un lavoratore e condannava la società datrice di lavoro al risarcimento del danno biologico e da perdita di professionalità da questi subiti. In particolare, diversamente da quanto statuito dal giudice di primo grado, la Corte riteneva provata una condotta datoriale di demansionamento in danno del lavoratore ma escludeva, tuttavia, che essa integrasse gli estremi di mobbing, pur ritenendo provato il nesso di causalità tra la mancata assegnazione di mansioni al lavoratore (affidandole ad altri colleghi) e la lesione alla sua integrità psicofisica come accertata dalla c.t.u. e, pertanto, condannava la società datrice di lavoro al risarcimento del danno biologico, quantificato nel 15% e liquidato sulla base delle tabelle redatte dal Tribunale di Palermo, nonché del danno da perdita di professionalità, determinato in via equitativa in € 5.000,00.
Avverso tale sentenza  la società ha proposto ricorso per Cassazione, censurando la decisione impugnata per aver risarcito il danno biologico nonostante avesse rigettato, per difetto di prova, la domanda di mobbing. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso.
Invero,è jus receptum  che il mobbing è una figura complessa che, secondo quanto affermato dalla Corte Costituzionale e recepito dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, designa un fenomeno molto complesso consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o del suo capo, caratterizzati di un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato ad escludere il lavoratore dal gruppo.
In realtà, ad avviso della Suprema Corte la complessità della fattispecie del mobbing e la mancanza di una sua specifica disciplina confermano l'esattezza della scelta della Corte d'Appello di ritenere che, esclusa la sussistenza dell'intento vessatorio e persecutorio, rimanesse comunque valutabile la condotta di "radicale e sostanziale esautoramento" del lavoratore dalle sue mansioni, la quale è fonte di danno alla sfera patrimoniale e/o non patrimoniale del lavoratore ove ricollegabile eziologicamente all'inadempimento del datore di lavoro.

giovedì 24 settembre 2015

Infezione ospedaliera post sinistro: proprietario del veicolo e struttura sanitaria rispondono in solido

Tribunale di Milano, Sez. I, 16 aprile 2015, n. 4841

Nella sentenza in oggetto, il Tribunale di Milano ha affrontato il caso della concorrente responsabilità tra il proprietario del veicolo e la struttura sanitaria presso cui era stato ricoverato il soggetto danneggiato.

Nello specifico, un soggetto, dopo esser stato investito, veniva trasportato presso la vicina azienda ospedaliera per ricevere le cure necessarie. Tuttavia, l'errata e negligente prestazione professionale resa dai sanitari cagionava allo stesso lesioni ben più gravi di quelle conseguenti all'investimento.

Una volta accertato in sede di CTU medico legale che il paziente aveva contratto un'infezione da enterobacter cloacae in occasione del primo ricovero avvenuto subito dopo il sinistro, il Giudice ha ritenuto provata la responsabilità dei sanitari per considerazioni di natura probabilistica, per la non contestata negatività per il predetto batterio in un fase precedente all'intervento, per la compatibilità cronologica e l'esclusione di altre potenziali cause di trasmissione dell'infezione nel periodo successivo alla degenza. Il Giudice ha dunque condannato in solido il proprietario del veicolo e l'azienda ospedaliera per i danni subiti dal soggetto in seguito ed a causa del sinistro.

mercoledì 29 luglio 2015

Risarcimento del danno non patrimoniale da "volo cancellato"

Cassazione Civile, 10 giugno 2015, n. 12088


La Corte di Cassazione, con sentenza del 10 giugno 2015 n. 12088, si è espressa negativamente in merito al ricorso promosso da un passeggero che invocava in giudizio la compagnia aerea con cui aveva viaggiato, chiedendole un risarcimento danni.
Nel caso in esame, il ricorrente, di ritorno da Guadalupe, recandosi in aeroporto per prendere il volo con destinazione Verona, veniva informato della cancellazione del volo stesso a causa di uno sciopero nazionale. Il viaggiatore pertanto, si vedeva costretto a trascorrere tutta la notte in aeroporto, non avendo al compagnia aerea predisposto un piano di pernottamento di emergenza. La mattina seguente, il viaggiatore poteva finalmente imbarcarsi sul volo programmato per fare rientro a Verona con un giorno di ritardo.
A seguito di tale vicende, il ricorrente adiva il Giudice di Pace, chiedendo il risarcimento dei danni subiti. Il suddetto Giudice rigettava le pretese avanzate.
Il Tribunale di Verona, in sede di appello, accoglieva parzialmente le richieste del ricorrente e condannava la compagnia aerea a corrispondere la somma di euro 52,95 a titolo di risarcimento delle spese vive sostenute a terra durante l’attesa del volo.
Avverso tale sentenza il passeggero ricorreva in Cassazione lamentando che i giudici dei precedenti gradi di giudizio non avevano adeguatamente considerato le circostanze volte a dimostrare la sussistenza di un danno anche non patrimoniale. In effetti, il ricorrente sosteneva la violazione dell’art. 9 del Regolamento CE n. 261 del 2004 che prevede l’obbligo di assistenza da parte del vettore aereo operativo in favore del passeggero.
La Cassazione pur riconoscendo la violazione del Regolamento citato, riteneva di non poterlo applicare al caso di specie. La Suprema Corte giungeva a dichiarare che il fondamento normativo per il risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla violazione degli obblighi di assistenza a terra, non possa reperirsi direttamente nella fonte sovranazionale, ma debba farsi riferimento alle norme dell’ordinamento interno.

Sicché la somma richiesta a titolo di danno non patrimoniale derivante dal disagio subito a causa della mancata assistenza, non trovava accoglimento in tale sede.