A distanza di oltre un
anno dall’entrata in vigore del decreto legislativo 28/2010, che ha introdotto
l’istituto della media-conciliazione obbligatoria, tale nuovo strumento di
risoluzione delle controversie civili continua a far discutere di sé e, soprattutto,
a sollevare molteplici quesiti circa la compatibilità di tale soluzione con
alcune norme in materia di processo civile e circa l’opportunità di reputarlo
un utile strumento in chiave deflattiva del contenzioso civile.
Più in generale, si sta
rilevando, in maniera abbastanza evidente, come la prassi processuale sia in
grado di dimostrarsi differente dall’intento del Legislatore, specie se, con
particolare riferimento alle controversie relative a circolazione di veicoli e
natanti, l’intento del mondo dell’avvocatura sia quello di riportare tale
contenzioso nel tradizionale “recinto” degli strumenti giudiziali di
risoluzione delle controversie.
Un recente caso che si
inserisce in questo solco ormai tracciato dalle aule dei tribunali italiani è
quello del Giudice di Pace di Napoli che, con la sentenza del 23 Marzo 2012,
ha di fatto sancito la fungibilità della media-conciliazione con altri
strumenti previsti dal codice di procedura civile, sconfessando, o quantomeno
mettendo fortemente in discussione, il suo carattere di obbligatorietà.
In particolare, il GdP attraverso un
quadro di motivazioni sofisticate ma in larga misura condivisibili, “aggira”
l’obbligo di esperire, preventivamente, un tentativo di conciliazione, in
presenza di giudizio dinanzi ad un Giudice di Pace.
Nel caso di specie, la controparte
aveva sollevato l'eccezione di improcedibilità della domanda,
proprio in virtù del mancato esperimento del procedimento di mediazione
obbligatoria di cui al D. Lgs. 28/2010, trattandosi di controversia concernente
il risarcimento di danni derivanti dalla circolazione di veicoli e natanti che,
com'è noto, rientra tra le materie soggette a tale, nuovo strumento di
risoluzione delle controversie. Il Giudice di Pace, nel rigettare l'eccezione,
sostiene che il processo dinanzi al giudice onorario prevede già degli
strumenti di risoluzione delle controversie di tale natura, sia in sede
contenziosa, ex art. 320, sia in sede extra-contenziosa, ai sensi dell'art. 322
del c.p.c.
E, tenendo conto che il D. Lgs.
28/2010 non ha abrogato la suddetta disciplina, risulta evidente che tali
disposizioni possono continuare ad operare, riuscendo a surrogare l'eventuale
mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione. Oltre al
quadro normativo, che conferma chiaramente la bontà di tale argomentazione, il
GdP precisa, anche in questo caso in maniera abbastanza condivisibile, che si
deve considerare altresì la funzione precipua del Giudice di Pace, e della
ratio che ha ispirato il Legislatore nella decisione di introdurre tale figura
nell'ordinamento giudiziario.
Infatti, l'intento deflattivo che si
è proposto il Legislatore è stato assecondato proprio dall'istituto del GdP,
che è nato, come lo stesso nome suggerisce, con lo scopo di favorire la
conciliazione delle controversie che può avvenire nella fase giudiziale ex art.
320 c.p.c. Ovvero in quella stragiudiziale azionabile ex art. 322 c.p.c. E, per
queste ragioni, sarebbe "paradossale escludere dal processo conciliativo
un istituto che nato precipuamente per lo svolgimento di tale
finalità". Il giudice ha affermato, in buona sostanza, che il mancato
esperimento del tentativo di mediazione non comporta affatto l'improcedibilità
della domanda, quanto piuttosto obbliga il giudice ad assegnare alle parti un
termine di 15 giorni per la proposizione dell'istanza di mediazione, con la
fissazione di una successiva udienza dopo la scadenza del termine previsto
dall'art. 6 del decreto suddetto (cioè 4 mesi dalla scadenza dei 15 giorni).
Siamo di fronte, dunque, ad una
bocciatura evidente, se si tiene conto del diffuso convincimento che ha
accompagnato l'entrata in vigore di questo nuovo strumento, descritto come una
rivoluzionaria innovazione, in grado di risolvere o, quantomeno, di intervenire
radicalmente, sull'atavico problema delle lungaggini della giustizia italiana.
Bocciatura che si aggiunge alle
numerose critiche manifestate dagli addetti ai lavori, e che hanno indotto
alcuni tribunali a rilevare profili di incostituzionalità dell'istituto in
questione (ad esempio con riferimento all'art. 24 Cost.), sui quali è attesa
una pronuncia della Corte Costituzionale. Tirando le somme, possiamo notare,
dunque, che la media-conciliazione, soprattutto a causa del suo carattere di
obbligatorietà, sembra non essere in grado di produrre gli effetti desiderati.
Le ragioni molteplici, vanno nella direzione di una scarsa considerazione da
parte degli operatori del diritto, avvocati e giudici in primis. Ma
non solo.
I dati che sono pervenuti sino a
questo momento, dimostrano che la sua utilità in chiave deflattiva è stata
particolarmente ridotta, in conseguenza di uno scarso entusiasmo da parte dei
cittadini, che continuano, pur consapevoli delle mille difficoltà e delle
incredibili lungaggini burocratiche, a preferire gli strumenti
"tradizionali" di risoluzione delle controversie.
Avv. Davide Rolli - Coordinatore CSR
Danni alla persona
Dott. Alessandro Martines