La Suprema Corte ha affermato il principio secondo cui, in tema di danno
non patrimoniale provocato da condotte vessatorie, la prova può essere
raggiunta facendo ricorso a presunzioni semplici.
La vicenda è la seguente: un dirigente ha chiesto il risarcimento del
danno non patrimoniale cagionato dalla condotta vessatoria del legale
rappresentante di una società, concretizzatesi nelle ripetute offese
sulla presunta omosessualità del dirigente stesso.
Il giudice di merito aveva accolto la domanda sia in primo che in
secondo grado, ritenendola provata quanto alla condotta vessatoria datoriale,
tramite prova testimoniale, quanto al danno subito dal dirigente, facendo
ricorso a presunzioni.
L’azienda ha impugnato la sentenza del giudice d’appello dinanzi
alla S.C., deducendo, tra l’altro, la mancanza di qualsiasi accertamento in
merito all’esistenza del danno.
La Corte di legittimità, dopo aver percorso un excursus
giurisprudenziale, ha così avuto modo di ribadire il proprio orientamento in
tema di danno non patrimoniale statuendo che, allorquando il danno sia
conseguente alla lesione di diritti inviolabili della persona
costituzionalmente garantiti, può essere accertato pure in assenza di un fatto
reato e facendo riferimento, anche in via esclusiva, a presunzioni semplici.
in tal caso il convincimento del giudice di merito, ove
adeguatamente motivato, non potrà essere sindacato dal giudice di legittimità.
Avv. Davide Rolli
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