Centro Studi e Ricerche SLR

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giovedì 26 novembre 2015

LA RESPONSABILITÀ DEL VETTORE FERROVIARIO PER I DANNI AI PASSEGGERI



Durante un viaggio in treno possono verificarsi eventi dannosi a carico dei passeggeri.
Ai sensi dell'art. 1678 c.c. il vettore si obbliga, con il contratto di trasporto, a trasferire persone da un luogo a un altro. In base al successivo art. 1681 c.c., il vettore risponde dei sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore durante il viaggio se non prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Sono nulle tutte le clausole che limitano tale responsabilità del vettore per i sinistri che colpiscono il viaggiatore.
Più nello specifico il trasporto ferroviario interno di persone è regolato dal R.D.L. 11 ottobre 1934 n. 1948: se il viaggiatore subisce un danno nella persona in conseguenza di anormalità verificatesi nell'esercizio ferroviario, l'Amministrazione ne risponde, a meno che provi che l'anormalità è avvenuta per caso fortuito o forza maggiore.
Leggendo tale disposizione in concerto con l'articolo 1681 cod. civ. si deduce l'inversione dell'onere della prova allorquando viene provata l'anormalità del servizio di trasporto: dal momento della dimostrazione dell'anormalità vige una presunzione di colpa a carico del vettore.
A disciplinare la responsabilità delle imprese ferroviarie in relazione ai passeggeri è intervenuto il Regolamento CE 2007/1371 della Commissione Europea relativo ai diritti e agli obblighi dei
passeggeri nel trasporto ferroviario. L'art. 26 dell'Allegato 1 al Regolamento prevede che il trasportatore è responsabile del danno derivante dalla morte, dal ferimento o da qualsiasi altro pregiudizio all'integrità fisica o psichica del viaggiatore, causato da un incidente che sia in relazione con l'esercizio ferroviario e sopravvenga durante la permanenza del viaggiatore nei veicoli ferroviari, o al momento in cui egli vi entra o ne esce, qualunque sia l'infrastruttura ferroviaria utilizzata. La responsabilità viene meno se l'incidente è stato causato da una colpa del viaggiatore ovvero da circostanze estranee all'esercizio ferroviario, circostanze che il trasportatore non poteva evitare. Infine il vettore non incorre in responsabilità laddove l'incidente sia dovuto al comportamento di un terzo.
Il Tribunale di Reggio Emilia, nella sentenza del 5 febbraio 2014, afferma che in tema di trasporto di persone, il viaggiatore che assuma di aver subìto danni a causa del trasporto, ha l'onere di dimostrare il nesso esistente tra l'evento dannoso e il trasporto medesimo; resta poi a carico del vettore l'onere di provare che l'evento dannoso costituisce fatto imprevedibile e non evitabile con la normale diligenza. In questi termini anche Cass. civ. n. 4482/2009 e Cass. civ. n. 16893/2010, secondo cui: «Nel contratto di trasporto di persone […], il viaggiatore che abbia subìto danni a causa del trasporto (quando cioè il sinistro è posto in diretta, e non occasionale, derivazione causale rispetto all'attività di trasporto), ha l'onere di provare il nesso eziologico esistente tra l'evento dannoso ed il trasporto medesimo (dovendo considerarsi verificatisi durante il viaggio anche i sinistri occorsi durante le operazioni preparatorie o accessorie, in genere, del trasporto e durante le fermate), essendo egli tenuto ad indicare la causa specifica di verificazione dell'evento; incombe, invece, sul vettore, al fine di liberarsi dalla presunzione di responsabilità a suo carico […], l'onere di provare che l'evento dannoso costituisce fatto imprevedibile e non evitabile con la normale diligenza».

Tuttavia, spesso i vettori inseriscono nelle Condizioni Generali di Trasporto clausole tendenti a limitare la responsabilità per i danni alla persona del passeggero. Al riguardo, la Camera di Commercio di Milano, nel «Parere in materia di clausole vessatorie nei contratti di trasporto ferroviario», ha evidenziato l’illegittimità del punto 10.2 delle Condizioni Generali di Trasporto dei passeggeri di Trenitalia, laddove inserisce una previsione secondo la quale il vettore non risponde dell'operato dei suoi agenti qualora essi operino, su richiesta del passeggero, per prestazioni che non competono al vettore o comunque al di fuori delle mansioni loro attribuite. La suddetta previsione vìola il principio del ragionevole affidamento del passeggero verso il personale di bordo, il quale dovrebbe semmai rifiutarsi di eseguire le prestazioni richiestegli. Similmente è illegittima la clausola inserita da Trenord nell'art. 73 punto 4) delle Condizioni Generali di Trasporto laddove, circa la responsabilità per danno alle persone, prevede in capo al viaggiatore l'onere di far constatare immediatamente il danno al personale addetto al controllo. 

venerdì 6 novembre 2015

Il demansionamento in assenza di mobbing legittima il danno biologico

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 05 novembre 2015, n. 22635

La Corte di Cassazione, con tale sentenza, ha riconosciuto ad un lavoratore il risarcimento del danno biologico per lesione dell'integrità psicofisica dovuta ad un demansionamento anche in assenza di mobbing. 
Il caso trae origine da una sentenza con cui la Corte d'Appello di Caltanissetta accoglieva l'appello proposto da un lavoratore e condannava la società datrice di lavoro al risarcimento del danno biologico e da perdita di professionalità da questi subiti. In particolare, diversamente da quanto statuito dal giudice di primo grado, la Corte riteneva provata una condotta datoriale di demansionamento in danno del lavoratore ma escludeva, tuttavia, che essa integrasse gli estremi di mobbing, pur ritenendo provato il nesso di causalità tra la mancata assegnazione di mansioni al lavoratore (affidandole ad altri colleghi) e la lesione alla sua integrità psicofisica come accertata dalla c.t.u. e, pertanto, condannava la società datrice di lavoro al risarcimento del danno biologico, quantificato nel 15% e liquidato sulla base delle tabelle redatte dal Tribunale di Palermo, nonché del danno da perdita di professionalità, determinato in via equitativa in € 5.000,00.
Avverso tale sentenza  la società ha proposto ricorso per Cassazione, censurando la decisione impugnata per aver risarcito il danno biologico nonostante avesse rigettato, per difetto di prova, la domanda di mobbing. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso.
Invero,è jus receptum  che il mobbing è una figura complessa che, secondo quanto affermato dalla Corte Costituzionale e recepito dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, designa un fenomeno molto complesso consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o del suo capo, caratterizzati di un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato ad escludere il lavoratore dal gruppo.
In realtà, ad avviso della Suprema Corte la complessità della fattispecie del mobbing e la mancanza di una sua specifica disciplina confermano l'esattezza della scelta della Corte d'Appello di ritenere che, esclusa la sussistenza dell'intento vessatorio e persecutorio, rimanesse comunque valutabile la condotta di "radicale e sostanziale esautoramento" del lavoratore dalle sue mansioni, la quale è fonte di danno alla sfera patrimoniale e/o non patrimoniale del lavoratore ove ricollegabile eziologicamente all'inadempimento del datore di lavoro.